Lasciamo agli studiosi spiegare cos’è lo yoga e come le pratiche siano arrivate a noi attraversando i corpi nei millenni. Diamo qui una breve introduzione delle sue origini e cerchiamo di gettare luce sulla visione dello yoga in cui ci ritroviamo.

Cenni sulla tradizione dello yoga

Lo yoga ha una storia lunga e articolata. È un processo dinamico che presenta diversi approcci, visioni filosofiche, impostazioni, tecniche e scopi. L’origine storica della pratica delle posizioni (āsana) è una questione ampiamente dibattuta tra i praticanti e gli studiosi di yoga e le opinioni sono tante e diverse.

Oggi, con il termine yoga, ci si riferisce normalmente a quell’insieme di pratiche del corpo e del respiro che fanno stare bene.

Pratiche declinate negli ultimi centocinquant’anni attraverso un largo spettro che va dallo spirituale al ginnico, dal meditativo al fisico. La varietà di queste pratiche ha per lo più una radice comune nello yoga moderno o yoga posturale.

All’interno dello yoga possiamo distinguere essenzialmente due correnti:

  1. Le correnti della via progressiva, la cui pratica mira al conseguimento di un obiettivo spirituale o fisico, come nello yoga posturale. Alla base c’è l’idea di un essere manchevole che può progredire evolvendo in un essere migliore. I suoi massimi esponenti sono stati Krishnamacharya, Desikachar, Iyengar e Pattabhi Jois
  2. Ci sono poi le correnti della via diretta, che non si pongono nessun obiettivo e mettono al centro della pratica l’ascolto dell’istante presente. Alla base c’è l’idea di un essere già compiuto, che non ha niente da raggiungere, ma solamente da riconoscersi nella sua natura spogliata da condizionamenti

Questa seconda visione, i cui interpreti nella contemporaneità sono Jean Klein, Eric Baret e Daniel Odier, si situa nella filosofia kashmira che si è sviluppata in India tra l’ottavo e il nono secolo

Esiste uno yoga autentico?

L’antichità di alcune pratiche è data per scontata e viene spesso ascritta a precisi testi o maestri, visti come i padri fondatori dello yoga. La dicotomia tra uno yoga classico autentico, che si rifà ai testi, e uno yoga moderno non autentico è in realtà un po’ artificiale.

Il filone degli studi contemporanei sullo yoga sta mettendo in dubbio l’antichità di alcune pratiche, ma il campo è aperto e sarebbe superficiale proporre qui delle conclusioni. Lo yoga che si pratica oggi è nato e si è trasformato nell’incontro dell’India con l’Occidente. L’idea – spesso veicolata dagli insegnanti della disciplina – che lo yoga praticato oggi sia in continuità assoluta con una tradizione ancestrale, è falsa.

Non dobbiamo mai dimenticare che la trasmissione del sapere avviene attraverso degli individui e questo è ancor più vero quando si tratta di una pratica fisica che presuppone una trasmissione orale. Le pratiche si trasformano e si adattano agli ambienti, ai tempi e alle persone e per questo non ha senso pensare che esista uno yoga più autentico e tradizionale.

Lo yoga del Kashmir

Lo yoga che proponiamo nel nostro centro trova il suo fondamento nello yoga non duale del Kashmir così come conosciuto nell’insegnamento di Eric Baret, che nella sua reinterpretazione contemporanea riesce a infondere nella pratica il significato originario dei testi del Kashmir medievale.

Questa pratica non ha testi di yoga che descrivono delle tecniche, ma è un orientamento che ha le sue radici in un sistema filosofico e teologico nato nella regione del Kashmir intorno all’ottavo-nono secolo: lo Shivaismo Kashmiro.

I testi tradizionali non menzionano tecniche di yoga, ma princìpi metafisici o religiosi. I concetti metafisici al centro di questa tradizione vengono portati in Occidente negli anni ’60 da Jean Klein. Fondata in quel che lui denominava lavoro del corpo e che poi per essere meglio riconoscibile si trasformò in yoga del Kashmir, la sua trasmissione permette di far comprendere e sperimentare agli occidentali i concetti metafisici al cuore di questa tradizione attraverso il corpo.

Uno yoga per lasciare entrare il presente

In questa visione dello yoga, si considera che le cose siano perfette così come sono, dove col termine perfetto si intende compiuto. Il punto di partenza non è quindi un essere visto come manchevole o difettoso che deve essere portato a migliorarsi: siamo già compiuti, perfetti. Dobbiamo solo riconoscerlo presentendo la nostra natura profonda al di là di ogni condizionamento.

L’obiettivo di questa pratica non è quella di compiere delle belle pose. Non c’è obiettivo, non esiste la posa giusta.

Esiste la posa svuotata dall’intenzione, svuotata dalla volontà di voler realizzare qualcosa. La posa vuota, non ammobiliata dalle nostre paure, proiezioni e fantasie.

L’importanza dell’ascolto

Questa pratica mira a rendere l’individuo sensibile all’ascolto passando attraverso l’ascolto del corpo.

Le posizioni non sono quindi un fine da raggiungere, ma un mezzo per portarci in contatto con le nostre resistenze.

Fin da piccoli ci viene insegnato che il limite, la resistenza e il disagio sono ostacoli da superare. Siamo sistematicamente allenati a lanciarci oltre, a sgominare con la volontà quello che resiste.

In questo approccio, la resistenza è una porta d’accesso. Scopriamo che a stare nel limite si raggiunge l’illimitatezza e che fino a quando ci infrangiamo contro il muro della resistenza come se fosse un nemico, non facciamo che rafforzare e fortificare i nostri schemi.

L’ascolto della resistenza e della tensione nel corpo ci dice due cose fondamentali.

  1. La prima è svelarci come ci comportiamo di fronte a un disagio, nel corpo come nella vita
  2. La seconda è mostrarci la possibilità di uscire dal nostro schema abituale – tirare, spingere, paragonarci, giudicarci – di fare un passo indietro per trovare un’alternativa a quello che ci sembra ovvio. In termini neuro motori, potremmo dire che diamo la possibilità al nostro cervello per costruire un nuovo percorso neurale

Lo yoga della meraviglia

Questo approccio allo yoga non promette di portarvi da nessuna parte, né di fare di voi persone più belle, più sane o più spirituali. È una pratica che stimola il riconoscimento della bellezza di ciò che siamo. Quando la volontà di essere qualcuno si placa, si dischiude il territorio della sensibilità e il corpo si trasforma in un meraviglioso strumento per conoscere se stessi.

Ci mostra come tutto ciò che siamo sul tappetino da yoga non è nulla di diverso da ciò che siamo nella quotidianità. Esplorando il corpo attraverso una sensibilità risvegliata, entriamo in intimità con i nostri meccanismi e scopriamo che così come ci rivolgiamo alle nostre resistenze, ci rivolgiamo all’altro e alle situazioni che incontriamo.

A mano a mano che affiniamo l’ascolto e la sensibilità, ci meraviglieremo a constatare che ciò che abbiamo scoperto sul tappetino si traspone su vari livelli della nostra quotidianità.

Scopriremo che a fare di meno, si sente di più.

La pratica yoga

La pratica inizia sempre nel silenzio, un silenzio che dà il benvenuto e invita non al fare, ma all’essere.

Si passa poi a deporre il proprio peso sul suolo e con esso l’armatura della nostra quotidianità, per stimolare la disponibilità a incontrare un corpo senza difese.

Si prosegue con l’ascolto del respiro e col risveglio sensibile del corpo. In posizione seduta o sdraiata, attraverso piccoli movimenti che permettono di esplorare il bacino e la colonna, entriamo più in intimità con i luoghi d’elezione su cui riposa l’essenza delle pose, accogliendone tensioni e resistenze.

Le lezioni non sono preparate. Ogni sessione è unica e si costruisce sul momento attraverso l’ascolto della situazione, delle persone, del caldo o del freddo. Dopo i momenti sopra descritti, la lezione può evolvere in una pratica che, mettendo sempre al centro l’ascolto, può privilegiare:

  • L’esplorazione dello stare nella posa
  • L’indagine di come ci muoviamo mentre ci muoviamo, attraverso l’ascolto del peso e del fluire del movimento per riconoscere con chiarezza gli appoggi e gli schemi motori

La pratica si conclude nel silenzio, in posizione seduta o sdraiata. Non ci proponiamo di meditare, solo di stare con quello che c’è, in uno spazio più allargato e quieto, dentro un corpo un po’ diverso, forse un po’ più svuotato e leggero.

Cosa aspettarsi dallo yoga

Nel nostro approccio, la parola corpo è utilizzata non soltanto nell’accezione di corpo fisico, ma comprende al suo interno anche lo strato energetico emotivo, psichico e mentale. Ne consegue che, quando riconosciamo e modifichiamo uno schema di movimento agendo sul corpo fisico, questo cambiamento si riflette su tutti gli strati. Il corpo diventa così lo strumento attraverso cui conosciamo noi stessi.

L’insegnante, in questo contesto, è qualcuno che suggerisce, indica una possibile via, non è un modello da imitare né qualcuno che ha in mano il giusto e lo sbagliato. L’insegnante è lì per stimolare ognuno a cercare per sé la soluzione migliore, affidandosi al proprio intuito con spirito giocoso e per nulla competitivo.

Ognuno è invitato a muoversi entro i propri confini, trovando da sé la giusta misura.

A chi si rivolge

La metodologia utilizzata coltiva la lentezza e i piccoli movimenti. In questa pratica il corpo è messo al centro, in qualunque forma si presenti: grosso, magro, flessibile, rigido, disabile o abile.

È un approccio democratico accessibile a chiunque perché richiede solo di avere un corpo e di mettersi al suo ascolto, scoprendo i naturali sentieri entro cui fluisce il movimento, la giusta misura per sé.

Informazioni pratiche

Quanto dura una lezione di yoga?
Le lezioni del mattino hanno una durata di 75′, quella della sera di 60′.

Quante volte a settimana sono previste le lezioni?
Sono previste tre lezioni a settimana, ma la frequenza è libera.

E se perdo una lezione?
È sempre possibile recuperarla.

È necessario portare il tappetino?
I tappetini sono disponibili in sala.

Quale abbigliamento è consigliato?
Lo yoga si pratica a piedi nudi o con le calze. Consigliamo un abbigliamento comodo al movimento e caldo nelle stagioni fredde.

Foto: Fabio Melotti, Tim Gainey

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